“Non ci capiamo mai: come nascono i fraintendimenti in vacanza”

Nell’ideale, le vacanze dovrebbero essere un momento di leggerezza e piacere condiviso. Eppure, molte coppie arrivano in terapia raccontando litigi esplosi proprio sotto l’ombrellone. Perché succede? Uno dei motivi più frequenti è il fraintendimento reciproco. Piccole parole dette in un certo tono, gesti mancati, silenzi pieni: ciò che uno intende non sempre è ciò che l’altro comprende.

– Perché in vacanza ci si fraintende più facilmente?

Durante l’anno i ritmi frenetici e la routine scandiscono le giornate. Nella convivenza quotidiana, spesso ci si parla “per dovere” più che per piacere.

La vacanza rompe questi schemi e ci mette faccia a faccia con una domanda implicita:

“Chi siamo quando non siamo occupati?”

Questo nuovo spazio può creare aspettative implicite non dette, desideri disallineati e comunicazioni più emotive che razionali.

– I tre meccanismi che alimentano i fraintendimenti:

1. Aspettative silenziose

Spesso nelle coppie le aspettative non vengono esplicitate, soprattutto nelle situazioni che “dovrebbero andare da sé”, come le vacanze.

Ognuno parte con un’idea personale di cosa significhi rilassarsi, divertirsi, stare insieme, ma queste idee raramente vengono condivise apertamente.

Lui può desiderare riposo, silenzio, tempo per leggere. Lei può immaginare lunghe passeggiate, confidenze e momenti romantici. Nessuno dei due sbaglia.

Il problema nasce quando si dà per scontato che l’altro sappia o voglia lo stesso, e la delusione si manifesta sotto forma di irritazione o frustrazione.

👉 Approfondimento:

Le aspettative inconsapevoli sono spesso legate a bisogni antichi, che non trovano parole ma solo emozioni. Quando questi bisogni vengono ignorati o non riconosciuti, possono riattivarsi dinamiche relazionali passate (familiari, infantili).

2. Proiezioni emotive

Le vacanze portano con sé un cambiamento di ritmo. Spesso, quando ci si ferma, emergono emozioni che erano rimaste sotto traccia: stanchezza, senso di vuoto, inquietudine.

Invece di riconoscere che provengono da noi, è più facile attribuirle all’altro:

“È colpa tua se non mi sento bene qui”

“Se tu fossi più presente, io sarei felice”

Questi sono esempi di proiezione: un meccanismo inconscio attraverso cui spostiamo sull’altro ciò che non riusciamo a contenere o nominare dentro di noi.

👉 Approfondimento:

Nella relazione di coppia, le proiezioni diventano spesso un “gioco a due” dove ciascuno reagisce a un’immagine interiore dell’altro, piuttosto che alla persona reale. Aiutare le coppie a distinguere tra l’altro reale e il proprio vissuto interno è uno dei compiti più delicati del lavoro clinico.

3. Il “già detto” che non si dice più

Con il tempo, molte coppie entrano in una zona di “mutua conoscenza silenziosa”, dove si presume che non serva più parlarsi davvero.

“Tanto sa come la penso”

“Ci conosciamo da una vita”

Questa convinzione spegne il desiderio e riduce lo spazio per lo scambio autentico. La vacanza, paradossalmente, offre più tempo per parlarsi, ma anche più possibilità di confrontarsi con un’assenza di comunicazione reale.

Le parole nuove, i racconti di sé, le domande genuine sono ciò che tiene viva una relazione.

👉 Approfondimento:

Il linguaggio nella coppia non è solo scambio di informazioni: è nutrimento relazionale. Quando le parole vengono meno, la relazione rischia di “asciugarsi”. Aiutare i partner a riappropriarsi del linguaggio – anche di quello emotivo – può riaccendere la vitalità della relazione.

– Cosa fare per capirsi:

Quando i fraintendimenti si ripetono, è naturale sentirsi frustrati o disillusi. Ma comprendere l’altro non è un “talento”, è un processo relazionale che si può coltivare:

1. Dire le cose prima che scoppino

Molti litigi in vacanza sono il frutto di piccole insoddisfazioni non espresse che si accumulano fino al punto di rottura.

Una frase detta con calma prima che emerga la rabbia può cambiare l’intera giornata:

“Mi piacerebbe se oggi facessimo qualcosa insieme, anche solo una passeggiata.”

Questa semplice frase evita che l’altro debba indovinare i nostri bisogni o sentirsi accusato quando non li ha soddisfatti.

👉 In terapia di coppia, si lavora spesso per aiutare i partner a “legittimare il bisogno” e a non trasformarlo in un attacco. Dire ciò che si desidera non è egoismo, è apertura.

2. Chiedere invece di indovinare

Molti conflitti nascono da un’aspettativa nascosta: “Se mi ami, dovresti capirlo da solo.”

Ma l’amore non rende telepatici, e ogni persona ha un proprio modo di leggere la realtà.

Domande semplici ma autentiche come:

“Hai voglia di raccontarmi cosa desideri da questa vacanza?”

oppure

“Come posso farti sentire più tranquillo/a oggi?”

sono strumenti potenti. Aprono spazi di dialogo, invece di aspettare o pretendere.

👉 Queste domande non servono solo a “organizzare meglio le giornate”, ma a creare un clima in cui entrambi si sentano ascoltati, riconosciuti, visti.

3. Ascoltare senza correggere

Spesso, quando il partner esprime un disagio, si tende a reagire con frasi del tipo:

“Non è vero che faccio così!”

“Stai esagerando.”

“Anche tu però…”

Queste risposte chiudono il dialogo. Ascoltare senza difendersi né correggere permette all’altro di sentirsi accolto.

Può essere difficile, ma è un gesto relazionale potente: si sceglie di fare spazio all’altro anche quando ciò che dice ci punge o ci destabilizza.

👉 Un ascolto “buono” non significa essere d’accordo con tutto, ma restare presenti. In terapia, questo è spesso il primo passo verso un nuovo linguaggio condiviso.

💡 Suggerimento finale

Prima di partire o in un momento tranquillo, potreste porvi a vicenda questa domanda:

“Cosa potrei fare durante questa vacanza per farti sentire più sereno/a con me?”

È un invito alla cura reciproca, che apre possibilità invece di irrigidirsi nelle differenze.

👉 Se desideri approfondire, puoi contattarmi per un primo colloquio.

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Vacanze in coppia: una pausa rigenerante o una prova di equilibrio?

Come riconoscere e affrontare le dinamiche relazionali che emergono durante i momenti di pausa –

Le vacanze sono spesso attese con entusiasmo: finalmente un tempo da dedicare a se stessi, ai propri affetti, alla coppia. Ma proprio quando si spengono i ritmi frenetici e si accende il desiderio di “stare bene insieme”, può emergere qualcosa di inaspettato: tensioni, silenzi, piccoli attriti.

Perché succede proprio quando dovremmo rilassarci?

Può capitare che il tempo insieme metta in luce ciò che nella quotidianità si nasconde.

Durante l’anno, gli impegni quotidiani fanno da “cuscinetto” tra i partner. I ritmi serrati, i figli, il lavoro, lasciano poco spazio al confronto profondo. Le vacanze, invece, spalancano finestre su aspetti della relazione che magari sono rimasti in secondo piano: il bisogno di autonomia, il desiderio di attenzione, differenze nei modi di vivere il riposo o il piacere.

Non è raro, ad esempio, che uno dei due desideri attività, esplorazioni, esperienze nuove, mentre l’altro sogni solo di non fare nulla. Oppure che, lontani dalle pressioni quotidiane, emerga un senso di distanza emotiva o un’irritazione sottile, difficile da nominare.

Non c’è nulla di sbagliato nel vivere piccoli attriti.

Spesso si pensa che se la coppia funziona, la vacanza debba essere perfetta. In realtà, è proprio il contrario: è naturale che, quando si trascorre più tempo insieme, si incontrino anche le differenze. Il punto non è evitare il conflitto, ma riuscire a osservarlo senza giudizio, come espressione di bisogni, fragilità o stili diversi.

Un’occasione per ascoltarsi meglio

La vacanza può allora diventare un’occasione preziosa per conoscersi di più, se ci si concede il tempo e lo spazio per farlo. Qualche domanda utile da porsi insieme:

• Cosa desideriamo davvero da questa vacanza?

• Cosa ci rilassa e cosa, invece, ci mette in tensione?

• Come possiamo prenderci cura del nostro tempo individuale e di quello condiviso?

Conclusione: imparare a stare insieme… anche in vacanza

Non esiste la vacanza “giusta”, esiste quella che parla dei bisogni autentici della coppia in quel momento. Riconoscere che anche i momenti di disaccordo sono naturali, e che possono essere affrontati con curiosità anziché con paura, è il primo passo per trasformare l’estate in un tempo di crescita e connessione.

Se vuoi approfondire l’argomento o richiedere una consulenza, puoi contattarmi qui

“Voglio stare bene ma non ci riesco” – Perché l’ansia persiste anche quando il pericolo è passato (e cosa puoi fare ogni giorno per affrontarla)

Autrice: Dott.ssa Maura Maria Schiavetta

Quando il pericolo è finito ma il corpo non lo sa

Dopo un evento traumatico, è molto comune provare una sensazione di frustrazione: la mente sa che tutto è finito, ma il corpo e le emozioni continuano a vivere come se il pericolo fosse ancora lì. L’ansia resta, anche quando tutto sembra essere tornato alla normalità.

Questa sensazione si traduce in pensieri come:

🗨 “Razionalmente so che non c’è nulla da temere, ma non riesco a calmarmi.”

🗨 “Vorrei stare bene, ma è come se il mio corpo non mi ascoltasse.”

Per molte persone, questa è una delle parti più difficili dell’esperienza post-traumatica: avere a che fare con i tempi diversi del cervello razionale e di quello emotivo.

Dopo un trauma, il nostro sistema nervoso può rimanere bloccato in uno stato di allerta. Anche se la minaccia è passata, una parte profonda e automatica del cervello – quella legata alla sopravvivenza – continua a reagire come se il pericolo fosse ancora presente.

È una risposta che non parte dalla nostra volontà, ma da memorie implicite, spesso corporee, che non sono state ancora elaborate.

Non sei sbagliato: il tuo corpo si è adattato per proteggerti.

Sentirsi così non significa essere deboli o “rotti”. Al contrario: vuol dire che il tuo corpo ha imparato a proteggerti nel modo più efficace che conosceva. Ora, però, ha bisogno di nuove coordinate per tornare a sentirsi al sicuro.

È proprio qui che inizia il lavoro di ricostruzione.

Alcune strategie quotidiane per affrontare l’ansia post-traumatica sono:

1. Dare un nome a ciò che accade

Spesso, l’ansia dopo un trauma è vaga, indefinita, difficile da descrivere. Comincia da qui:

• Scrivi cosa senti nel corpo (tensione, nodo alla gola, fiato corto)

• Osserva quando accade (luoghi, persone, momenti della giornata)

• Prova a dirti: “Sto sperimentando una reazione post-traumatica. Non sono in pericolo adesso.”

Dare un nome all’esperienza è un primo passo per separarti da essa e tornare ad avere un senso di controllo.

2. Áncorati al presente: piccoli gesti di radicamento

Quando l’ansia si attiva, prova a riportare attenzione al qui e ora.

Ecco alcune strategie semplici:

• Sentire i piedi ben poggiati a terra

• Respirare lentamente e osservare il respiro che entra ed esce

• Guardarti intorno e descrivere 5 oggetti che vedi, 4 suoni che senti, 3 cose che puoi toccare

Questi esercizi aiutano il sistema nervoso a uscire dallo stato di emergenza e rientrare nella sicurezza del momento presente.

3. Coinvolgere il corpo in modo gentile

L’ansia ha bisogno di essere scaricata, ma con dolcezza.

Attività consigliate:

• Passeggiate a ritmo regolare

• Yoga, stretching, o movimenti lenti e consapevoli

• Respirazione diaframmatica o esercizi di coerenza cardiaca

Ricorda: non serve “fare tanto”, serve fare con presenza.

4. Dare spazio alle emozioni (senza esserne travolti)

L’ansia post-traumatica spesso nasconde emozioni congelate: paura, rabbia, dolore.

In terapia si lavora proprio per accoglierle senza esserne sopraffatti.

Puoi iniziare così:

• Scrivere ciò che provi, senza giudizio

• Parlare con qualcuno di fidato

• Concederti di “sentire” un’emozione alla volta, per piccoli tratti, in un luogo sicuro

5. Coltivare esperienze di sicurezza e relazione

Ogni giorno, chiediti:

• Cosa posso fare oggi che mi dà un piccolo senso di sicurezza?

• Con chi mi sento accolto e non giudicato?

• Dove posso lasciarmi essere, anche solo per qualche minuto?

L’ansia si scioglie quando il corpo sperimenta, lentamente, che non è più solo.

Non devi farcela da solo.

Se l’ansia è diventata una compagna quotidiana dopo un evento difficile, sappi che c’è una strada per uscirne.

Il percorso terapeutico – anche con strumenti come l’EMDR – aiuta a rielaborare le radici profonde di questa sofferenza e a costruire un nuovo senso di sicurezza dentro di sé.

👉 Se desideri approfondire, puoi contattarmi per un primo colloquio.

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Cos’è l’EMDR e come può aiutarti a superare un evento traumatico

Dott.ssa Maura Maria Schiavetta – Psicologa Psicoterapeuta, Milano

Quando il trauma si ripresenta, anche se è “passato”

Molte persone, dopo aver vissuto un’esperienza difficile o traumatica, raccontano di sentirsi “bloccate”. Anche se il tempo è passato, qualcosa dentro continua a tornare: ricordi vividi, emozioni forti, ansia improvvisa, difficoltà a lasciarsi andare.

In questi casi, la mente non ha ancora potuto integrare l’esperienza. È come se una parte fosse rimasta lì, ferma, in quel momento.

L’EMDR è una metodologia psicoterapeutica pensata proprio per aiutare le persone a rielaborare eventi traumatici o emotivamente intensi, favorendo un cambiamento profondo e duraturo.

Cosa significa EMDR?

EMDR è l’acronimo di Eye Movement Desensitization and Reprocessing, ovvero Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari.

È un metodo validato scientificamente, utilizzato in tutto il mondo, per trattare:

  • Traumi singoli (incidenti, lutti, aggressioni)
  • Traumi relazionali (abbandoni, trascuratezza, separazioni)
  • Eventi stressanti prolungati (bullismo, burnout, pandemia)

Come funziona una seduta EMDR?

Dopo una fase di preparazione e raccolta della storia di vita, si lavora su ricordi specifico che creano ancora disagio.

Attraverso stimolazioni bilaterali (movimenti oculari, suoni o tocchi alternati), la mente viene facilitata a elaborare l’informazione “bloccata”.

Il ricordo non viene cancellato, ma cambia la sua intensità: non fa più male come prima.

“Ora riesco a pensare a quell’evento senza sentirmi soffocare.”

Perché l’EMDR è così efficace

Quando viviamo un trauma, il cervello può andare in sovraccarico e non riuscire a elaborare normalmente l’esperienza.

L’EMDR aiuta il sistema nervoso a fare proprio quel lavoro che non è riuscito a concludere. È come se riattivasse le naturali risorse di autoguarigione della persona.

L’efficacia dell’EMDR è riconosciuta da:

  • Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
  • American Psychological Association (APA)
  • Ministero della Salute italiano

EMDR e psicoterapia: un lavoro integrato

Nel mio approccio, l’EMDR viene integrato in un percorso di psicoterapia relazionale: il lavoro non si ferma al sintomo, ma considera la persona nella sua interezza.

Ogni seduta viene svolta con cura, rispetto e attenzione ai tempi individuali.

È un trattamento adatto sia per traumi evidenti, sia per esperienze che hanno lasciato un segno meno riconoscibile, ma profondo.

Vuoi sapere se l’EMDR è adatto a te?

Ricevo a Milano, in presenza, e anche online. Se desideri comprendere meglio come funziona l’EMDR o iniziare un percorso personalizzato, puoi contattarmi per un primo colloquio conoscitivo.

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Ansia dopo un trauma: come riconoscerla e superarla

[Immagine di Freepik]

Dott.ssa Maura Maria Schiavetta – Psicologa Psicoterapeuta, Milano

Quando l’ansia non è solo stress

Dopo un evento traumatico – che si tratti di un lutto, un incidente, una malattia, una violenza o un evento improvviso – l’organismo può entrare in uno stato di allerta continua e l’ansia può diventare una presenza costante. Spesso non si manifesta subito, perchè nonostante qualcosa si sia spezzato, molte persone continuano la loro vita come se nulla fosse. L’ansia può diventare una compagna silenziosa e invadente: può comparire settimane o mesi dall’evento, sotto forma di pensieri intrusivi, tensione, paura immotivata, insonnia, attacchi di panico, difficoltà di concentrazione.

Molte persone raccontano:

“Sto andando avanti, ma qualcosa dentro si è spezzato” .

“Non riesco a rilassarmi”.

“Sto sempre in allerta, anche quando sono al sicuro”

Non si tratta solo di stress. Questa condizione è nota come ansia post-traumatica, ed è una risposta del corpo e della mente che cerca di difendersi da un pericolo che, pur essendo finito, viene ancora vissuto internamente come presente.

Come si manifesta l’ansia post-traumatica?

L’ansia può assumere forme diverse, a seconda di come il trauma è stato vissuto e integrato. Alcuni segnali comuni sono:

  • Ipervigilanza: sentirsi sempre “sul chi va là”, anche in situazioni sicure
  • Tensione muscolare e difficoltà a rilassarsi
  • Insonnia o risvegli notturni con incubi o pensieri ricorrenti
  • Pensieri intrusivi: flashback, immagini o ricordi dell’evento che tornano senza controllo
  • Attacchi di panico, anche senza un motivo apparente
  • Evitamento: paura di affrontare luoghi, persone o situazioni legate al trauma
  • Difficoltà a concentrarsi, senso di disconnesione o distacco emotivo

In alcuni casi, può svilupparsi un vero e proprio Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD). In altri, i sintomi si manifestano in modo più sottile ma cronico, influenzando il benessere quotidiano

Perché l’ansia non “passa da sola”

L’organismo ha una naturale capacità di guarigione, ma quando un evento è troppo intenso o arriva in un momento di fragilità, il sistema nervoso può rimanere “bloccato” in uno stato di allerta. È come se una parte della persona vivesse ancora nel momento del trauma, anche a distanza di anni.

In questi casi, il lavoro psicoterapeutico non serve a “cancellare il passato”, ma ad aiutare la mente e il corpo a rielaborare l’esperienza e ricollocarla nel tempo: nel passato, dove appartiene.

Come la psicoterapia può aiutare

Il percorso terapeutico permette di:

  • Dare un senso all’esperienza vissuta, riconoscendo ciò che ha fatto male e come ha inciso
  • Esplorare le emozioni bloccate o represse (paura, rabbia, vergogna…)
  • Lavorare sui pensieri negativi legati al trauma (es. “è colpa mia”, “non sarò mai più al sicuro”)
  • Recuperare il senso di autoefficacia e sicurezza interiore
  • Ritrovare fiducia nei propri confini, nel corpo, negli altri

Uno degli approcci più efficaci per il trattamento dell’ansia post-traumatica è l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), una metodologia validata scientificamente che favorisce l’elaborazione dei ricordi disturbanti in modo profondo e duraturo.

EMDR: uno strumento per superare il trauma

Nel mio lavoro, utilizzo l’EMDR quando l’esperienza traumatica è ancora “viva” nella persona. Attraverso una serie di movimenti oculari o stimolazioni bilaterali, il cervello viene aiutato a desensibilizzare il ricordo traumatico, riducendo l’impatto emotivo e permettendo una rielaborazione più integrata.

Molti pazienti riportano che, con l’elaborazione degli eventi attraverso il metodo EMDR, riescono a pensare all’evento senza sentirsi sopraffatti, e ad aprire nuovi spazi di consapevolezza e fiducia.

Psicoterapia per ansia a Milano e online

Se ti riconosci in queste parole, se l’ansia non ti lascia respirare, non sei solo/a. Ci sono strumenti per ritrovare un senso di calma e sicurezza. E chiedere aiuto è il primo passo per iniziare a stare meglio.

Vuoi parlarne con me?

Puoi contattarmi per un primo appuntamento o per saperne di più sulla cura dell’ansia dopo un trauma.

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5 consigli pratici per spiegare ai bambini il Coronavirus

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In questo momento di crisi dovuto al coronavirus, è necessario riflettere su come comunicare ai bambini le notizie di quanto sta succedendo e del perchè la quotidianità sta cambiando (non si va a scuola, i genitori sono a casa dal lavoro o lavorano da casa, si va più spesso dai nonni, non si può fare sport, ecc.).
1) I bambini hanno bisogno di informazioni chiare e vere, comunicate e filtrate in base all’età in modo da essere comprensibili.
2) E’ importante non esporre i bambini a immagini e notizie non adatte al loro livello di
comprensione.
3) Scegliere uno o due momenti al giorno da dedicare insieme alla visione di notiziari o
ricerca web di notizie, per spiegare cosa sta succedendo e rassicurare i bambini attraverso un focus realistico e orientato agli aspetti positivi (per es. spiegare che tante persone si stanno occupando del problema per la nostra sicurezza)
4) Mantenere delle abitudini: i bambini possono continuare a fare le cose da bambini come giocare, parlare di cose divertenti, fare i compiti e imparare cose nuove.
5)​ Dare sicurezza: è importante che i bambini non vedano solo volti spaventati e allarmati. Se riuscite a calmare voi stessi come genitori, darete sicurezza al bambino. I bambini notano le incongruenze dei grandi e apprendono dall’esempio. Se non riuscite a calmarvi, chiedete supporto ai familiari, agli amici, alla comunità ed eventualmente agli specialisti.
Lo psicologo Alberto Pellai ha condiviso un racconto molto utile da leggere ai bambini che spiega il coronavirus:
È un virus. È così piccolo che lo si può vedere solo in laboratori speciali con microscopi speciali. Ecco perché ci spaventa tanto. Perché è invisibile a occhio nudo. Da sempre noi esseri viventi abbiamo paura di ciò che ci può fare male e che non si può vedere. Succedeva all’uomo delle caverne che andava a caccia di animali feroci che erano nascosti nelle foreste. Lui non li vedeva e doveva andarli a cercare. Loro stavano appostati in luoghi nascosti e, per non essere uccisi, potevano ucciderlo. È lì che il nostro cervello ha imparato ad accendere l’emozione della paura. Ci ha dotato della capacità di avvertire un pericolo che non si vede. Ci fa sentire l’allarme quando ancora non abbiamo davanti a noi il pericolo. Così siamo più preparati ad affrontarlo quando ci si presenta davanti.

 

La paura è come la sirena dell’ambulanza che suona dentro di te. La senti e ti avverte che qualcosa di grave sta per succedere. Bisogna correre all’ospedale per evitare che le cose precipitino. Il coronavirus, oggi, fa suonare tutte le sirene d’allarme del mondo. Ne parlano in continuazione alla televisione. Ci sono adulti più tranquilli, altri in ansia, altri molto spaventati: e poi c’è gente con i nervi saldi che sta lavorando giorno e notte per combattere questo rischio. Purtroppo hanno cancellato le gite scolastiche. Non si fanno più gli allenamenti sportivi. Sembra di stare in guerra, ti viene da pensare. E così provi una paura difficile da addomesticare. Non posso togliertela quella paura, ma posso dirti che, mentre è giusto sentire l’allarme per qualcosa che ci minaccia, allo stesso tempo dobbiamo imparare a prendere le cose nella giusta misura e per quello che sono.

È vero: il coronavirus è un nuovo agente di infezione che per la prima volta sta colpendo gli esseri umani. Prima era presente solo nel corpo di alcuni animali. È vero: il coronavirus ha contagiato migliaia di persone in Cina e nel mondo e ora è presente nella nazione in cui vivi anche tu. È vero : ci sono persone infettate dal coronavirus che sono morte. Però, affermato che queste sono tre verità che tutti sappiamo, ecco altre verità che, in questo clima di allarme, vengono raccontate, ma le persone colgono molto meno. Il contagio al momento ha colpito un numero molto ristretto di persone. La malattia si è localizzata in alcune zone precise, chiamate focolai di infezione. Quando è stata identificata la zona del focolaio, gli esperti hanno preso tutte le precauzioni possibili per non farlo uscire da lì. È come un animale in trappola. Ecco perché gli abitanti di alcuni paesi e città sono oggi in isolamento e quarantena. Viene chiesto loro di non uscire dal loro territorio, così da non trasportare il virus in luoghi in cui esso ancora non è arrivato.

 

La malattia prodotta dal coronavirus è simile ad un’influenza. Fa tossire, starnutire, dà febbre. In molte persone il virus non produce nemmeno questi sintomi. Solo pochissime persone si ammalano con sintomi molto più gravi, come la polmonite. Ad oggi, il 2% delle persone affette dal virus è morto. Vuol dire che di tutti gli ammalati, muore, purtroppo, una persona su 50. E sappi che tra i malati non ci sono praticamente bambini. Ovvero, sembra che chi ha la tua età, ha una capacità naturale di resistere all’attacco del virus. Che, quindi, per i bambini non rappresenta una reale minaccia.

 

Inoltre, considera che: nei luoghi in cui c’è l’infezione, ci sono migliaia di persone. Di quelle migliaia di persone, pochissime contraggono l’infezione, di quelle pochissime solo 1 su 50 muore. È tristissimo sapere che una persona muore per una malattia. Però è importante che tu consideri che la paura che senti, riguarda una minaccia che ha pochissime probabilità di riguardare la tua vita. Ma tutto il mondo, proprio per evitare, che questo accada, oggi si sta dando da fare per evitare che questa infezione si diffonda. È fondamentale perciò che le persone vengano allertate e allarmate. Perché così percepiscono un rischio e imparano a fare tutto quello che serve per evitare che esso si trasformi in un pericolo crescente. È quello che hanno già fatto con te i tuoi genitori da quando sei nato. Ti hanno insegnato che prima di attraversare la strada, devi aspettare che il semaforo diventi verde. Altrimenti rischi di essere tirato sotto da un’automobile. E questo ti ha permesso di imparare ad andare in giro sicuro per il mondo, sapendo come evitare gli incidenti. Ti hanno insegnato che non si può mangiare solo cotoletta e patatine. Perché il tuo corpo ha bisogno anche di fibre e vitamine che trovi nella frutta e nella verdura. Solo così puoi mantenere un corpo sano. Ti hanno insegnato che quando navighi in rete non devi fornire le tue generalità – nome, cognome e indirizzo – a nessuno, perché non sai chi c’è dall’altra parte.

 

Per il coronavirus è un po’ la stessa cosa. Il mondo adesso viene avvertito che la fuorì c’è un virus di cui non conosciamo molte cose. E perciò ce ne dobbiamo difendere. Ogni giorno nei laboratori, gli scienziati stanno lavorando per trovare un vaccino e una cura. In ogni momento, le persone che ci governano stanno promuovendo leggi per tutelare la nostra salute. In tutti gli ospedali il personale medico e paramedico è pronto a curare le persone che si ammaleranno. E i malati hanno il 98% di probabilità di guarire. Così come, al momento, la quasi totalità della popolazione ha ottime probabilità di non ammalarsi. Gli esperti di prevenzione ci dicono di fare poche cose che sono molto importanti: — se ti viene da tossire e starnutire, fallo nel cavo del gomito. In questo modo, non solo si riduce il rischio di diffondere il coronavirus, ma qualsiasi altro virus respiratorio — lavati bene le mani, sopra, sotto e tra le dita, con il sapone liquido, per un tempo di alcune decine di secondi. Potresti cantare per intero «tanti auguri a me» mentre ti lavi le mani, così riesci a far durare l’operazione il giusto tempo e nel frattempo ti dici una cosa bella e ti metti «dentro» un po’ d’allegria — usa fazzoletti di carta e cestinali subito dopo — non metterti le mani in bocca, negli occhi, nel naso (ma questo lo sapevi già!) e non mangiarti le unghie. Anzi tienile corte e curate.

 

Ecco tutto qui: questo è quello che puoi fare tu in prima persona per far fuori quel mostriciattolo fantasma, chiamato coronavirus. Non si può dire nulla di più. Avere paura oggi è naturale. Siamo spaventati e dobbiamo difenderci da qualcosa che non abbiamo ancora imparato bene a conoscere e affrontare. Ma l’uomo, nel corso della storia ha saputo fare cose straordinarie. Ha imparato a vincere malattie ben più terribili, ha inventato missili che possono portarci sulla luna, ha scoperto come trasformare la luce del sole in energia che fa accendere la luce di notte nelle nostre case, quando fuori c’è il buio. La paura ci fa vedere tutto buio e cupo. Ma tu non perderti nel buio. Affidati al lavoro di milioni di persone che oggi stanno lavorando e combattendo per vincere la battaglia contro il coronavirus. Impara a immaginarle tutte insieme. Un esercito infinito di milioni di uomini e donne – medici, ricercatori, scienziati, infermieri, forze dell’ordine – contro un invisibile microscopico virus. Ce la faremo, vedrai, ce la faremo.”

(Alberto Pellai, Medico e Psicoterapeuta. Ricercatore presso il Dipartimento di scienze biomediche dell’Università degli studi di Milano – 23 febbraio 2020. Fonte: http://www.corriere.it)

Benessere emotivo nella terza età

senior-3336451_1920Come professionista, mi capita di affrontare dei percorsi psicologici con persone della terza età, perchè dai 60 anni in su, ci sono degli eventi che possono minare il proprio benessere emotivo e che richiedono di ritrovare un nuovo equilibrio:

  • la menopausa/andropausa
  • l’andare in pensione
  • la nascita di un nipote
  • aspetti legati alla condizione fisica/di salute
  • aspetti relazionali della coppia

L’andare in pensione, ad esempio, può mettere in crisi la propria identità, perchè dopo molti anni in cui si vive quotidianamente la parte lavorativa, ci si trova a casa a doversi riorganizzare. È importante che si riesca a mantenere un’aspetto di socialità, perchè è possibile sentirsi giù di morale quando non si hanno più tante cose da fare come prima e non si è ancora trovato il modo per avere un ruolo o un compito. Spesso avere un ruolo o sapere che ci stiamo impegnando in qualcosa dà un senso alla nostra vita, e quando ne sentiamo la mancanza possiamo soffrire. Il sentirsi utili si riflette anche sull’autostima.

Con l’andare in pensione, aumenta il tempo passato con il partner e spesso questo causa la rottura di vecchi equilibri e l’apertura di nuove discussioni. E’ utile in questi casi ritrovare nuovi modi di stare insieme e ridefinire il progetto di coppia.

L’andare in menopausa per una donna, può essere vissuto con difficoltà rispetto ai cambiamenti fisici e ormonali che comporta e alla questione della femminilità: la donna è alle prese con nuovi significati legati alla propria identità e al proprio ruolo. Inoltre oggi sempre di più, con l’aumentare dell’età in cui si ha il primo figlio, l’andare in menopausa coincide con l’adolescenza dei figli e questo ancor di più incide sulla rappresentazione di sè.

La nascita di un nipote può portare a cambiamenti nelle relazioni e a nuove richieste da parte dei figli, richieste di vicinanza o lontananza. Interagire in questo nuovo e, a volte fragile equilibrio, può essere un problema. Anche l’avere a che fare con un neonato oggi, può portare con sé una sensazione di inadeguatezza o far riaffiorare ricordi passati rispetto alla relazione con il proprio figlio.

La condizione fisica può non essere più quella di una volta e può capitare di entrare in contatto con l’ambiente medico per visite, utilizzo di terapie farmacologiche o di sottoporsi a interventi, grandi o piccoli. L’aspetto psicologico può essere sottovalutato, invece è molto importante curare questa parte, per sentirsi più forti ad affrontare le sfide che ci troviamo davanti con più sicurezza.

Se vuoi confrontarti su questi temi, puoi prenotare una visita con la psicologa  presso lo Studio di Psicologia di via Marghera 6/B a Milano, chiamando  il numero 3381213793 o lasciando qui sotto la tua richiesta e le tue preferenze di orario.

 

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In casi particolari, quando le persone anziane hanno oggettiva difficoltà a spostarsi, a causa di vari impedimenti, la psicologa è disponibile ad effettuare visite domiciliari.

Per informazioni chiama il 3381213793

La crisi di coppia |Psicologa Milano

Se vuoi ascoltare una mia intervista a Radio Lombardia sulla relazione di coppia e su come “litigare bene” CLICCA QUI

Succede spesso, nelle coppie, che i partner vadano in crisi perché non si capiscono più o non riescono più a dialogare tra loro.

Si mettono allora in atto una serie di meccanismi come:
– lamentarsi
– criticare l’altro
– “far orecchie da mercante”
– fare il gioco del silenzio
– fare la vittima
– diventare aggressivi
– usare la tecnica “io ho ragione…tu hai torto”
– salire in cattedra e trattare il partner come un bambino

blue-jeans-blur-clothes-349494A volte si attribuiscono questi comportamenti alle differenze tra i partner e alle loro scale di valori.
In realtà, spesso, dietro a queste accuse reciproche si nascondono una serie di bisogni personali non soddisfatti, come ad esempio l’essere amati, riconosciuti, rispettati, capiti, accettati o il bisogno di esprimere liberamente il proprio pensiero, di avere la fiducia dell’altro.

Il primo problema è che spesso non si hanno chiari quelli che sono i propri bisogni e, come conseguenza, non è possibile comunicarli al partner.

Ma è possibile trasformare la crisi in qualcosa di utile e positivo? Sì, se la si gestisce nella maniera opportuna, cogliendola come un segnale di ricchezza e di diversità, come un’occasione per ridefinire la situazione, trovare nuovi equilibri e cercare nuovi stimoli di crescita.

Oggi sappiamo che, all’interno di un sistema biologico, la crisi è normale, anzi può avere un effetto di crescita poiché favorisce l’emergere di soluzioni nuove, diverse e a lungo andare più soddisfacenti rispetto ai problemi che ci troviamo davanti.
Risulta invece distruttiva ogni volta che si mettono in atto dinamiche parziali e fuori controllo, perché questo porta alla distruzione del sistema entro cui la crisi si è verificata.
La crisi non è negativa di per sé. Il grado di soddisfazione rispetto a noi stessi, la nostra autostima e il nostro benessere psicofisico possono dipendere però da come affrontiamo la crisi.

adult-beard-blur-953207Quando richiedere una consulenza psicologica di coppia?

Quando la relazione diventa conflittuale, aumentano le discussioni e le incomprensioni, così come la rabbia e la frustrazione personale.

 

Una relazione di coppia insoddisfacente o conflittuale può creare problemi di diversa natura che i partners si “trascinano” anche in ambiti diversi: lavoro, educazione dei figli, salute e benessere psicofisico.
Quando le coppie vivono una situazione di malessere o di conflitto che non riescono più a risolvere in modo autonomo, possono richiedere una consulenza di coppia.

I motivi per cui si richiede una consulenza sono molteplici. I più diffusi sono:

  • difficoltà di comunicazione
  • presa di decisione e progettualità
  • momenti critici e di passaggio (convivenza, matrimonio, gravidanza, nascita figli, adolescenza dei figli, separazione)
  • difficoltà sessuali
  • infertilità
  • malattia

Gli incontri di consulenza psicologica di coppia hanno l’obiettivo di fare chiarezza sui problemi specifici della relazione e sui propri vissuti personali, trovando le prime risposte su come si possono affrontare.
La fase di consulenza può terminare con l’indicazione del terapeuta di proseguire con una vera propria psicoterapia di coppia, una psicoterapia individuale o un percorso di sostegno genitoriale.
Una psicoterapia di coppia non cerca di trovare semplici soluzioni di compromesso tra le posizioni conflittuali dei due partner, ma di promuovere l’avvio di un percorso di crescita e di cambiamento personale, che incide sul modo di stare insieme.

È per questo che della conflittualità all’interno della coppia viene evidenziata la valenza positiva e costruttiva, in quanto occasione e strumento per trovare nuove soluzioni più funzionali all’evoluzione della relazione.

Per rispondere a una domanda che spesso mi viene fatta, l’obiettivo della psicoterapia di coppia non è quello di tenere unita la coppia!

Gli obiettivi della psicoterapia di coppia sono:

  • aiutare i due partner a superare il momento di stallo in cui si trovano e individuare le soluzioni più adatte per affrontarlo
  • aiutare a costruire nuove capacità di interazione con l’altro
  • aiutare i due partner ad analizzare le dinamiche relazionali in gioco e arrivare ad una maggiore consapevolezza di sé e della propria unione, per decidere se continuare a stare insieme o separarsi.

Con uno psicoterapeuta di coppia, i due partner possono esprimere e condividere pensieri e vissuti, collegando il periodo di crisi che stanno vivendo in quel momento all’intera storia della coppia.
E’ possibile arrivare a superare sterili discussioni e la rabbia che segna spesso questi momenti conflittuali.

Se vuoi richiedere un colloquio con la dott.ssa Maura Schiavetta, chiama il numero 3381213793 o compila il modulo qui sotto qui sotto:

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Andare dallo psicologo per ansia? A Milano, lo Studio di Psicologia di via Marghera

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L’ansia è un sintomo molto comune, che può portare un disagio consistente nella vita quotidiana, perché può colpire gli aspetti vitali dell’individuo come il sonno, l’appetito, il sistema gastrointestinale e le relazioni.

L’ansia può portare ad evitare certe situazioni e a limitare così la propria vita: può essere l’ascensore, l’aereo, le piazze, i concerti, ecc.. Se si esprime sul lavoro può causare un disagio quotidiano molto forte, con la sensazione di non poter scappare (una riunione, l’incontro con il capo o con i colleghi, ecc.).

Solitamente l’ansia si manifesta in un periodo specifico della vita, dopo o in vista di qualche cambiamento.

Vi racconto un esempio:

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Depressione post-partum: l’Home visiting può prevenirla?

Se trattata, la prognosi della depressione perinatale risulta tendenzialmente favorevole

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Che cos’è la depressione post-partum?
Molte donne fanno fatica a risolvere spontaneamente le difficoltà legate ai grandi cambiamenti e all’instabilità emotiva che la gravidanza e la maternità comportano, per diversi motivi.
In questi casi, si possono manifestare sintomi di diversa entità, da un grado più lieve di sofferenza emotiva a veri e propri disturbi d’ansia e depressione.
In particolare, la depressione post-partum è un disturbo dell’umore che si sviluppa dal 10 al 20% delle neo-mamme nei primi 6 mesi dopo il parto, ma i sintomi possono continuare fino a 1 o 2 anni di vita del bambino, se non viene trattata.

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