Quando la coppia si blocca: segnali da non sottovalutare

Ci sono momenti in cui il disagio di coppia non si manifesta attraverso litigi o discussioni esplicite, ma in una forma ancora più silenziosa: la distanza. Si assiste ad una convivenza fatta di ruoli, impegni e responsabilità, ma senza presenza emotiva. In ottica relazionale, questi segnali ci dicono molto e non vanno sottovalutati.

“Non ci cerchiamo più, ma non sappiamo perché”

Molte coppie arrivano in terapia con questa sensazione: non c’è un conflitto aperto, ma nemmeno confronto. La relazione sembra funzionare “da fuori”, ma è come se qualcosa si fosse spento dentro.

Dobbiamo considerare il significato che assume il silenzio nella dinamica relazionale. Cosa comunica quel vuoto? Cosa si sta evitando, difendendo, trattenendo?

A volte il partner non viene più percepito come un soggetto emotivo, ma solo nel suo ruolo: il padre, la madre, il coinquilino. Si smette di vedersi davvero.

Segnali sottili ma importanti

Ci sono piccoli segnali che parlano di una crisi profonda, anche se spesso vengono minimizzati:

  • Le conversazioni diventano solo pratiche
  • Si evita l’intimità, fisica e affettiva
  • Si sente di non essere ascoltati
  • Si prova una solitudine che non si riesce a nominare
  • Si ha la sensazione che qualcosa si sia rotto, ma non si sa cosa

In queste situazioni non c’è una rottura improvvisa, ma un lento allontanamento affettivo, spesso reciproco e inconsapevole.

Perché ci si blocca?

Il blocco nella coppia non è mai solo “colpa del presente”, non dipende dall’ultima discussione o evento successo. Spesso il blocco si attiva a partire da dinamiche più profonde: modalità di attaccamento, vissuti antichi, ferite relazionali non elaborate.

Il partner può diventare inconsapevolmente lo specchio di esperienze precoci: la paura di non essere accolti, la sensazione di non contare, il timore del rifiuto. Così si tace per proteggersi, o per non riattivare vecchie ferite.

La distanza diventa una difesa, che però protegge dal dolore, anche se a farne le spese è la qualità del legame e del benessere personale.

La terapia di coppia come spazio terzo

La terapia non è uno spazio per decidere se “restare insieme o lasciarsi”, è uno spazio per sentire, capire, ritrovare la parola.

In un percorso terapeutico la coppia può:

  • Osservare le dinamiche che si ripetono
  • Comprendere il significato emotivo del blocco
  • Tornare a sentire l’altro, e sé stessi, come soggetti vivi
  • Ridefinire il legame, con rispetto e consapevolezza

Nel lavoro terapeutico si crea un campo relazionale terzo, in cui è possibile contenere il dolore e dare nuovo senso alla relazione.

Spunti per il dialogo di coppia

Queste domande possono essere un primo passo per riaprire un canale:

  • Quando ho smesso di raccontarti davvero come sto? Quando hai smesso tu?
  • Cosa mi protegge dal parlarti? E cosa temo di scoprire, se lo facessi?
  • Abbiamo smesso di cercarci… o non sappiamo più come fare?
  • Che tipo di coppia siamo diventati? È ciò che vogliamo davvero o ciò che ci è capitato?

Se senti che anche nella tua relazione qualcosa si è fermato e non sai da dove ripartire, la terapia di coppia può offrirti uno spazio sicuro per farlo.

Chiedere una terapia di coppia… anche quando uno ha già deciso di separarsi

di Dott.ssa Maura Maria Schiavetta – Psicoterapeuta individuale e di coppia

Quando sembra troppo tardi

“Mi ha chiesto di venire in terapia, ma io dentro di me so che non ce la faccio più.”

“Mi sento sola da troppo tempo. Gli ho parlato per anni, ma non mi ha mai davvero ascoltata.”

Sono frasi che ascolto spesso quando una coppia arriva in terapia in un momento molto avanzato della crisi. Quando uno dei due ha già cominciato a separarsi dentro di sé.

In questi casi, ha ancora senso iniziare un percorso?

La risposta è sì. Ma è importante sapere di quale terapia stiamo parlando: la terapia come spazio relazionale, non come “cura della coppia”

Il terapeuta non ha il compito di “riparare” la coppia a tutti i costi, né di far cambiare idea a chi ha già deciso.

Il lavoro si fonda su un altro principio:

creare uno spazio in cui la verità della relazione possa emergere, essere nominata, compresa.

Anche una separazione può essere un esito maturo della terapia, quando nasce da un processo di consapevolezza reciproca, e non da uno scontro distruttivo.

Dare senso a ciò che è accaduto (e a ciò che non è riuscito)

Quando uno dei due partner è già orientato verso la separazione, la terapia può diventare:

– uno spazio in cui chi sta lasciando può dire, forse per la prima volta, tutto il peso del silenzio, del non essere visto, del sentirsi solo anche in due;

– uno spazio in cui chi viene lasciato può cominciare a comprendere, a uscire dal senso di rifiuto, a rileggere la storia in modo meno difensivo.

In questo modo, la terapia non salva il legame, ma gli restituisce una dignità.

Il valore del contenitore terapeutico

Nel modello relazionale, la presenza del terapeuta crea una terza posizione, protetta e regolata, che permette di:

– dare forma alla rabbia senza aggredire

– dare spazio al dolore senza fuggire

– nominare la separazione come un evento significativo, e non solo come una frattura.

Il terapeuta non impone una direzione, ma accompagna ciò che sta già accadendo, facilitando l’elaborazione e la trasformazione.

Rabbia e dolore: movimenti profondi della psiche

Quando una persona arriva dicendo “non ce la faccio più”, spesso sotto la rabbia c’è un dolore antico: quello di non essere stato riconosciuto, di aver lottato da solo, di aver perso fiducia nella possibilità di essere ascoltato.

Non bisogna contrastare la rabbia, ma ascoltarla come segnale psichico.

È proprio in quel momento che si può cominciare a fare un vero lavoro di elaborazione.

Separarsi nella relazione, non dal conflitto

Quando la separazione è inevitabile, il compito terapeutico diventa accompagnare la rottura, non subirla o affrettarla.

Questo significa:

– costruire un contesto in cui ci si possa dire addio guardandosi

– evitare che l’uscita dalla coppia sia una fuga, uno strappo violento o una rimozione

– lasciare a ciascuno il tempo psichico per dare un significato alla fine.

Anche la fine può essere un atto relazionale

In molti casi, la terapia non serve a “salvare” la coppia, serve a chiudere in modo più umano, evitando ferite inutili, riconoscendo ciò che è stato e ciò che non è stato possibile.

non tutte le coppie devono restare insieme, ma tutte meritano di essere ascoltate nella loro verità.

Conclusione: la terapia non arriva tardi, se dà voce a ciò che c’è.

Chiedere una terapia anche quando uno dei due è già pronto ad andare via non è un errore.

È un gesto di cura, di responsabilità.

È il tentativo di chiudere una storia senza lasciarla incompiuta dentro di sé.

Se stai vivendo un momento delicato nella tua relazione e senti che hai bisogno di uno spazio in cui esplorare ciò che accade, contattami qui