Rientro dalle vacanze: un nuovo incontro con sé stessi e con l’altro

Le vacanze sono spesso vissute come una parentesi sospesa: un tempo “altro” che rompe i ritmi quotidiani e ci restituisce spazi di libertà, leggerezza e contatto con ciò che ci fa stare bene.
Quando però finiscono, non torniamo semplicemente dove eravamo: torniamo cambiati.

Ogni viaggio — anche breve — ci mette in contatto con parti di noi che, nella routine, rimangono più silenziose: desideri, nuovi ritmi, un diverso modo di stare con l’altro o con noi stessi. Al rientro, queste parti non scompaiono: ci accompagnano e ci chiedono spazio.

Proprio in questo punto di passaggio, quando il sé vacanziero incontra il sé quotidiano, possono nascere emozioni contrastanti: nostalgia, fatica, entusiasmo, voglia di cambiamento. È un momento prezioso per fermarsi e ascoltarsi.


1. Il rientro come spazio di trasformazione

Spesso pensiamo che rientrare significhi “riprendere da dove avevamo lasciato”, ma psicologicamente non è così.
La pausa estiva non è solo riposo: è una esperienza trasformativa che ridistribuisce energie psichiche, ci permette di esplorare nuove modalità relazionali e di rimettere in discussione abitudini consolidate.

Possiamo vedere questo momento come un punto di snodo:

  • ciò che abbiamo vissuto ci ha cambiati, anche in modo sottile;
  • tornare alla quotidianità significa confrontarci con questi cambiamenti;
  • se non li riconosciamo, rischiamo di sentirci in conflitto, svuotati o insoddisfatti.

Il rientro diventa allora un invito a rallentare e ascoltarsi: cosa porto con me di nuovo? Cosa non mi rappresenta più? E come posso integrare queste scoperte nella vita di ogni giorno?


2. Coppia e vacanza: quando il ritorno mette alla prova

Le vacanze, per molte coppie, sono un momento di ridefinizione della relazione.
Lontani dai ritmi abituali, emergono dinamiche nuove:

  • momenti di complicità ritrovata;
  • desideri che si svelano;
  • ma anche tensioni e bisogni divergenti.

Con il rientro, queste esperienze entrano nel quotidiano:

  • Se abbiamo vissuto sintonia e leggerezza, può nascere il timore di perderle.
  • Se sono emerse difficoltà, il ritorno alla routine può renderle più evidenti, perché i vecchi schemi relazionali tendono a riattivarsi.

Dal punto di vista del rapporto di coppia, questo è un passaggio fertile: la coppia ha l’opportunità di negoziare nuovi equilibri.

È un tempo per chiedersi:

  • Quali momenti di connessione desideriamo custodire?
  • Cosa ci ha messo in difficoltà e come possiamo parlarne, senza accusarci?
  • Quale spazio dare alle differenze che la vacanza ha messo in luce?

Non si tratta di tornare “come prima”, ma di creare un nuovo modo di stare insieme, più consapevole e autentico.


3. Il ritorno come confronto con i propri desideri

Il disagio del rientro spesso non nasce solo dalla fine delle vacanze, ma dal riemergere dei desideri.
In vacanza ci avviciniamo a ciò che ci fa stare bene:

  • più lentezza,
  • più spazio per noi,
  • relazioni vissute con minor fretta,
  • tempo per il corpo, per il silenzio, per la curiosità.

Quando torniamo, la vita quotidiana può sembrare distante da ciò che abbiamo riscoperto. Qui nasce la tensione interiore: torno come prima o provo a cambiare qualcosa?

Non è raro che, dopo l’estate, nascano riflessioni importanti: cambiare lavoro, ridefinire priorità, cercare più spazio per sé o per la coppia. Accogliere queste domande senza giudicarle è il primo passo per costruire un equilibrio più autentico.


4. Un invito all’ascolto reciproco

Se il rientro è un momento di cambiamento, diventa essenziale creare spazi di ascolto:

  • con sé stessi, per riconoscere bisogni ed emozioni,
  • con l’altro, per condividere ciò che si è scoperto,
  • nella coppia, per mantenere viva la curiosità reciproca.

Questo ascolto è centrale: significa riconoscere che io e l’altro siamo cambiati — anche solo un po’ — e incontrarci di nuovo, anziché tornare automaticamente agli schemi di prima.


Conclusione

Il rientro dalle vacanze non è solo un ritorno alla routine: è un tempo di passaggio che può diventare occasione di crescita.
Possiamo scegliere se tornare a fare “come sempre” o fermarci, ascoltarci e integrare ciò che di nuovo abbiamo scoperto.

“Non si tratta di tornare indietro, ma di andare avanti con ciò che abbiamo incontrato di noi stessi e dell’altro.

Accogliere questa trasformazione significa prendersi cura di sé, della coppia e delle relazioni, permettendo che la pausa estiva lasci un segno che continui a nutrirci.

Quando uno solo vuole fare terapia di coppia: che fare?

Uno dei blocchi più frequenti: uno dei due sente il bisogno di un aiuto, l’altro si rifiuta o minimizza. Cosa fare quando la richiesta d’aiuto resta senza risposta?


Una richiesta che spesso nasce nella solitudine

Molte persone arrivano in terapia dicendo:
“Vorrei iniziare un percorso di coppia, ma il mio partner non vuole.”

Chi chiede aiuto si trova spesso nel paradosso di essere l’unico a vedere il problema, o quantomeno a volerlo affrontare. L’altro minimizza, rimanda, cambia discorso, oppure dice chiaramente:
“Non credo nella terapia”, “Non serve, siamo solo stanchi”, “Il problema ce l’hai tu.”

Dietro questa risposta possono esserci molte cose: difese, paure, vergogna, ma anche una diversa rappresentazione del legame e del conflitto.
Nella prospettiva relazionale, ogni comportamento ha un significato che va compreso nel contesto della storia di quella coppia.


Chi propone la terapia non è “quello che ha il problema”

Spesso, chi prende l’iniziativa si sente in colpa o teme di forzare l’altro.
In realtà, la richiesta di aiuto è un gesto relazionale, un modo per dire:
“Mi importa di noi”, “Voglio provare a capire, insieme.”

Chiedere aiuto non significa accusare, né attribuire colpe.
Significa voler aprire uno spazio nuovo, dove ci si possa vedere da un altro punto di vista.


Il rifiuto ha sempre un significato relazionale

Quando l’altro si rifiuta di partecipare, non sempre è per indifferenza.
A volte è una forma di difesa:

  • Per paura di essere messo sotto accusa
  • Perché non si sente capace di esprimere ciò che prova
  • Perché ha vissuto la terapia, in passato, come qualcosa di giudicante
  • O perché non riesce a riconoscere la profondità del malessere

In chiave psicoanalitica, potremmo dire che il rifiuto è già un messaggio, un segnale che può essere ascoltato, non forzato.


Si può iniziare da soli

Se la coppia non è pronta, può essere utile iniziare un percorso individuale.
Anche in uno solo, il legame è presente: nella mente, nel corpo, nella narrazione.
Lavorare su di sé può già produrre un cambiamento nella relazione.

A volte, questo porta l’altro ad avvicinarsi spontaneamente; altre volte permette di chiarire i propri bisogni, limiti e desideri.

Non c’è nulla di sbagliato nel prendersi cura della relazione partendo da sé.


Spunti per il dialogo di coppia

  • Cosa ti spaventa, o ti frena, all’idea di fare una terapia insieme?
  • Come possiamo parlare del nostro disagio senza colpevolizzarci?
  • Riesci a vedere che anche io sto soffrendo, pur se in modo diverso da te?
  • Posso iniziare io da solo, ma spero che tu senta che è una strada aperta anche per te.

Se desideri parlarne

Se stai vivendo questo tipo di difficoltà nella tua relazione, e senti di non essere ascoltato o compreso, parlarne in uno spazio sicuro può essere un primo passo importante.
La terapia non è un ultimatum, ma un invito: a guardarsi, a riconoscersi, a non perdersi.

Contattami se desideri capire meglio se un percorso individuale o di coppia può fare al caso tuo, puoi scrivere qui

Quando la coppia si blocca: segnali da non sottovalutare

Ci sono momenti in cui il disagio di coppia non si manifesta attraverso litigi o discussioni esplicite, ma in una forma ancora più silenziosa: la distanza. Si assiste ad una convivenza fatta di ruoli, impegni e responsabilità, ma senza presenza emotiva. In ottica relazionale, questi segnali ci dicono molto e non vanno sottovalutati.

“Non ci cerchiamo più, ma non sappiamo perché”

Molte coppie arrivano in terapia con questa sensazione: non c’è un conflitto aperto, ma nemmeno confronto. La relazione sembra funzionare “da fuori”, ma è come se qualcosa si fosse spento dentro.

Dobbiamo considerare il significato che assume il silenzio nella dinamica relazionale. Cosa comunica quel vuoto? Cosa si sta evitando, difendendo, trattenendo?

A volte il partner non viene più percepito come un soggetto emotivo, ma solo nel suo ruolo: il padre, la madre, il coinquilino. Si smette di vedersi davvero.

Segnali sottili ma importanti

Ci sono piccoli segnali che parlano di una crisi profonda, anche se spesso vengono minimizzati:

  • Le conversazioni diventano solo pratiche
  • Si evita l’intimità, fisica e affettiva
  • Si sente di non essere ascoltati
  • Si prova una solitudine che non si riesce a nominare
  • Si ha la sensazione che qualcosa si sia rotto, ma non si sa cosa

In queste situazioni non c’è una rottura improvvisa, ma un lento allontanamento affettivo, spesso reciproco e inconsapevole.

Perché ci si blocca?

Il blocco nella coppia non è mai solo “colpa del presente”, non dipende dall’ultima discussione o evento successo. Spesso il blocco si attiva a partire da dinamiche più profonde: modalità di attaccamento, vissuti antichi, ferite relazionali non elaborate.

Il partner può diventare inconsapevolmente lo specchio di esperienze precoci: la paura di non essere accolti, la sensazione di non contare, il timore del rifiuto. Così si tace per proteggersi, o per non riattivare vecchie ferite.

La distanza diventa una difesa, che però protegge dal dolore, anche se a farne le spese è la qualità del legame e del benessere personale.

La terapia di coppia come spazio terzo

La terapia non è uno spazio per decidere se “restare insieme o lasciarsi”, è uno spazio per sentire, capire, ritrovare la parola.

In un percorso terapeutico la coppia può:

  • Osservare le dinamiche che si ripetono
  • Comprendere il significato emotivo del blocco
  • Tornare a sentire l’altro, e sé stessi, come soggetti vivi
  • Ridefinire il legame, con rispetto e consapevolezza

Nel lavoro terapeutico si crea un campo relazionale terzo, in cui è possibile contenere il dolore e dare nuovo senso alla relazione.

Spunti per il dialogo di coppia

Queste domande possono essere un primo passo per riaprire un canale:

  • Quando ho smesso di raccontarti davvero come sto? Quando hai smesso tu?
  • Cosa mi protegge dal parlarti? E cosa temo di scoprire, se lo facessi?
  • Abbiamo smesso di cercarci… o non sappiamo più come fare?
  • Che tipo di coppia siamo diventati? È ciò che vogliamo davvero o ciò che ci è capitato?

Se senti che anche nella tua relazione qualcosa si è fermato e non sai da dove ripartire, la terapia di coppia può offrirti uno spazio sicuro per farlo.

Chiedere una terapia di coppia… anche quando uno ha già deciso di separarsi

di Dott.ssa Maura Maria Schiavetta – Psicoterapeuta individuale e di coppia

Quando sembra troppo tardi

“Mi ha chiesto di venire in terapia, ma io dentro di me so che non ce la faccio più.”

“Mi sento sola da troppo tempo. Gli ho parlato per anni, ma non mi ha mai davvero ascoltata.”

Sono frasi che ascolto spesso quando una coppia arriva in terapia in un momento molto avanzato della crisi. Quando uno dei due ha già cominciato a separarsi dentro di sé.

In questi casi, ha ancora senso iniziare un percorso?

La risposta è sì. Ma è importante sapere di quale terapia stiamo parlando: la terapia come spazio relazionale, non come “cura della coppia”

Il terapeuta non ha il compito di “riparare” la coppia a tutti i costi, né di far cambiare idea a chi ha già deciso.

Il lavoro si fonda su un altro principio:

creare uno spazio in cui la verità della relazione possa emergere, essere nominata, compresa.

Anche una separazione può essere un esito maturo della terapia, quando nasce da un processo di consapevolezza reciproca, e non da uno scontro distruttivo.

Dare senso a ciò che è accaduto (e a ciò che non è riuscito)

Quando uno dei due partner è già orientato verso la separazione, la terapia può diventare:

– uno spazio in cui chi sta lasciando può dire, forse per la prima volta, tutto il peso del silenzio, del non essere visto, del sentirsi solo anche in due;

– uno spazio in cui chi viene lasciato può cominciare a comprendere, a uscire dal senso di rifiuto, a rileggere la storia in modo meno difensivo.

In questo modo, la terapia non salva il legame, ma gli restituisce una dignità.

Il valore del contenitore terapeutico

Nel modello relazionale, la presenza del terapeuta crea una terza posizione, protetta e regolata, che permette di:

– dare forma alla rabbia senza aggredire

– dare spazio al dolore senza fuggire

– nominare la separazione come un evento significativo, e non solo come una frattura.

Il terapeuta non impone una direzione, ma accompagna ciò che sta già accadendo, facilitando l’elaborazione e la trasformazione.

Rabbia e dolore: movimenti profondi della psiche

Quando una persona arriva dicendo “non ce la faccio più”, spesso sotto la rabbia c’è un dolore antico: quello di non essere stato riconosciuto, di aver lottato da solo, di aver perso fiducia nella possibilità di essere ascoltato.

Non bisogna contrastare la rabbia, ma ascoltarla come segnale psichico.

È proprio in quel momento che si può cominciare a fare un vero lavoro di elaborazione.

Separarsi nella relazione, non dal conflitto

Quando la separazione è inevitabile, il compito terapeutico diventa accompagnare la rottura, non subirla o affrettarla.

Questo significa:

– costruire un contesto in cui ci si possa dire addio guardandosi

– evitare che l’uscita dalla coppia sia una fuga, uno strappo violento o una rimozione

– lasciare a ciascuno il tempo psichico per dare un significato alla fine.

Anche la fine può essere un atto relazionale

In molti casi, la terapia non serve a “salvare” la coppia, serve a chiudere in modo più umano, evitando ferite inutili, riconoscendo ciò che è stato e ciò che non è stato possibile.

non tutte le coppie devono restare insieme, ma tutte meritano di essere ascoltate nella loro verità.

Conclusione: la terapia non arriva tardi, se dà voce a ciò che c’è.

Chiedere una terapia anche quando uno dei due è già pronto ad andare via non è un errore.

È un gesto di cura, di responsabilità.

È il tentativo di chiudere una storia senza lasciarla incompiuta dentro di sé.

Se stai vivendo un momento delicato nella tua relazione e senti che hai bisogno di uno spazio in cui esplorare ciò che accade, contattami qui

Vacanze in coppia con bambini: come ritrovare uno spazio di intimità anche in famiglia

Le vacanze, per chi ha figli, non sono più solo vacanze. Sono un tempo condiviso in cui la coppia e la famiglia si intrecciano in un equilibrio spesso delicato, in cui ci si divide tra mille richieste e bisogni dei più piccoli. È facile idealizzare la partenza come un momento di riposo e unione, ma la realtà è che, per molti genitori, la vacanza può diventare un periodo ancora più impegnativo del resto dell’anno.

Dove finisce il ruolo genitoriale e dove può riemergere la dimensione della coppia? È davvero possibile ritrovare intimità e connessione quando tutto ruota intorno ai bisogni dei bambini?

Spesso, con l’arrivo dei figli, la coppia tende a “scomparire” per l’accumulo di compiti da svolgere e l’attenzione da dedicare a loro.

Nella pratica clinica, capita spesso di incontrare genitori che sentono di non essere più una coppia “come prima”. È un passaggio fisiologico: l’arrivo dei figli porta un cambiamento di identità profondo, e spesso la priorità assoluta diventa la loro cura. Questo è naturale, ma nel tempo, se la coppia non trova piccoli spazi per rigenerarsi, il rischio è quello di perdersi di vista e aumentare la distanza emotiva, che si può anche trasformare in distanza fisica.

Durante le vacanze, questa dinamica si amplifica: le routine vengono meno, i tempi si dilatano, e la gestione dei figli – senza il supporto della scuola o dei nonni – può diventare ancora più assorbente.

Il bisogno di “tempo a due” non è un lusso

Spesso le coppie si sentono in colpa solo a pensare di volersi ritagliare un momento per sé: “Non siamo venuti in vacanza per stare tutti insieme?”. Ma il tempo di qualità in famiglia non esclude il tempo di qualità nella relazione di coppia. Al contrario, una coppia che riesce a ritagliarsi momenti di dialogo, intimità e vicinanza trasmette ai figli un senso di stabilità e fiducia.

Anche in vacanza, prendersi cura della coppia significa nutrire il legame che tiene insieme la famiglia.

Non servono grandi gesti o fughe romantiche per ri-conettersi con il proprio partner. A volte bastano:

un caffè insieme al mattino, mentre i bambini ancora dormono; una passeggiata con il passeggino mentre si chiacchiera della giornata; uno sguardo condiviso, un momento di leggerezza, una battuta che fa ridere solo voi.

L’intimità non è solo sessualità o tempo “da soli”. È sentirsi ancora complici, ri-conoscersi nei piccoli gesti.

I conflitti non vanno in vacanza

Un altro aspetto da non sottovalutare è che, durante le vacanze, le tensioni latenti possono emergere più facilmente. Senza la “copertura” della routine quotidiana, la coppia si ritrova faccia a faccia, e può essere difficile mantenere il solito equilibrio. Le differenze nei ritmi, nella gestione dei figli, nelle aspettative sul tempo libero, possono accendere conflitti o riattivare vecchie ferite.

Viverli come occasione di confronto – e non come minaccia – è una sfida, ma anche una possibilità preziosa di crescita. La vacanza può diventare uno spazio in cui fermarsi, ascoltarsi e rinegoziare le reciproche posizioni.

Puoi prendere queste domande come spunto per iniziare un dialogo di coppia:

  • Qual è il momento della giornata che ci fa sentire più vicini, anche con i bambini accanto?
  • C’è qualcosa che possiamo fare per proteggerlo insieme?
  • Cosa ci manca, oggi, per sentirci ancora “noi”, al di là del ruolo di genitori?
  • Come possiamo sostenerci meglio a vicenda nei momenti faticosi della vacanza?

Se rimangono dubbi o motivi più specifici per richiedere una consulenza di coppia, puoi contattarmi qui

 “Non ci capiamo mai: come nascono i fraintendimenti in vacanza”

Nell’ideale, le vacanze dovrebbero essere un momento di leggerezza e piacere condiviso. Eppure, molte coppie arrivano in terapia raccontando litigi esplosi proprio sotto l’ombrellone. Perché succede? Uno dei motivi più frequenti è il fraintendimento reciproco. Piccole parole dette in un certo tono, gesti mancati, silenzi pieni: ciò che uno intende non sempre è ciò che l’altro comprende.

– Perché in vacanza ci si fraintende più facilmente?

Durante l’anno i ritmi frenetici e la routine scandiscono le giornate. Nella convivenza quotidiana, spesso ci si parla “per dovere” più che per piacere.

La vacanza rompe questi schemi e ci mette faccia a faccia con una domanda implicita:

“Chi siamo quando non siamo occupati?”

Questo nuovo spazio può creare aspettative implicite non dette, desideri disallineati e comunicazioni più emotive che razionali.

– I tre meccanismi che alimentano i fraintendimenti:

1. Aspettative silenziose

Spesso nelle coppie le aspettative non vengono esplicitate, soprattutto nelle situazioni che “dovrebbero andare da sé”, come le vacanze.

Ognuno parte con un’idea personale di cosa significhi rilassarsi, divertirsi, stare insieme, ma queste idee raramente vengono condivise apertamente.

Lui può desiderare riposo, silenzio, tempo per leggere. Lei può immaginare lunghe passeggiate, confidenze e momenti romantici. Nessuno dei due sbaglia.

Il problema nasce quando si dà per scontato che l’altro sappia o voglia lo stesso, e la delusione si manifesta sotto forma di irritazione o frustrazione.

👉 Approfondimento:

Le aspettative inconsapevoli sono spesso legate a bisogni antichi, che non trovano parole ma solo emozioni. Quando questi bisogni vengono ignorati o non riconosciuti, possono riattivarsi dinamiche relazionali passate (familiari, infantili).

2. Proiezioni emotive

Le vacanze portano con sé un cambiamento di ritmo. Spesso, quando ci si ferma, emergono emozioni che erano rimaste sotto traccia: stanchezza, senso di vuoto, inquietudine.

Invece di riconoscere che provengono da noi, è più facile attribuirle all’altro:

“È colpa tua se non mi sento bene qui”

“Se tu fossi più presente, io sarei felice”

Questi sono esempi di proiezione: un meccanismo inconscio attraverso cui spostiamo sull’altro ciò che non riusciamo a contenere o nominare dentro di noi.

👉 Approfondimento:

Nella relazione di coppia, le proiezioni diventano spesso un “gioco a due” dove ciascuno reagisce a un’immagine interiore dell’altro, piuttosto che alla persona reale. Aiutare le coppie a distinguere tra l’altro reale e il proprio vissuto interno è uno dei compiti più delicati del lavoro clinico.

3. Il “già detto” che non si dice più

Con il tempo, molte coppie entrano in una zona di “mutua conoscenza silenziosa”, dove si presume che non serva più parlarsi davvero.

“Tanto sa come la penso”

“Ci conosciamo da una vita”

Questa convinzione spegne il desiderio e riduce lo spazio per lo scambio autentico. La vacanza, paradossalmente, offre più tempo per parlarsi, ma anche più possibilità di confrontarsi con un’assenza di comunicazione reale.

Le parole nuove, i racconti di sé, le domande genuine sono ciò che tiene viva una relazione.

👉 Approfondimento:

Il linguaggio nella coppia non è solo scambio di informazioni: è nutrimento relazionale. Quando le parole vengono meno, la relazione rischia di “asciugarsi”. Aiutare i partner a riappropriarsi del linguaggio – anche di quello emotivo – può riaccendere la vitalità della relazione.

– Cosa fare per capirsi:

Quando i fraintendimenti si ripetono, è naturale sentirsi frustrati o disillusi. Ma comprendere l’altro non è un “talento”, è un processo relazionale che si può coltivare:

1. Dire le cose prima che scoppino

Molti litigi in vacanza sono il frutto di piccole insoddisfazioni non espresse che si accumulano fino al punto di rottura.

Una frase detta con calma prima che emerga la rabbia può cambiare l’intera giornata:

“Mi piacerebbe se oggi facessimo qualcosa insieme, anche solo una passeggiata.”

Questa semplice frase evita che l’altro debba indovinare i nostri bisogni o sentirsi accusato quando non li ha soddisfatti.

👉 In terapia di coppia, si lavora spesso per aiutare i partner a “legittimare il bisogno” e a non trasformarlo in un attacco. Dire ciò che si desidera non è egoismo, è apertura.

2. Chiedere invece di indovinare

Molti conflitti nascono da un’aspettativa nascosta: “Se mi ami, dovresti capirlo da solo.”

Ma l’amore non rende telepatici, e ogni persona ha un proprio modo di leggere la realtà.

Domande semplici ma autentiche come:

“Hai voglia di raccontarmi cosa desideri da questa vacanza?”

oppure

“Come posso farti sentire più tranquillo/a oggi?”

sono strumenti potenti. Aprono spazi di dialogo, invece di aspettare o pretendere.

👉 Queste domande non servono solo a “organizzare meglio le giornate”, ma a creare un clima in cui entrambi si sentano ascoltati, riconosciuti, visti.

3. Ascoltare senza correggere

Spesso, quando il partner esprime un disagio, si tende a reagire con frasi del tipo:

“Non è vero che faccio così!”

“Stai esagerando.”

“Anche tu però…”

Queste risposte chiudono il dialogo. Ascoltare senza difendersi né correggere permette all’altro di sentirsi accolto.

Può essere difficile, ma è un gesto relazionale potente: si sceglie di fare spazio all’altro anche quando ciò che dice ci punge o ci destabilizza.

👉 Un ascolto “buono” non significa essere d’accordo con tutto, ma restare presenti. In terapia, questo è spesso il primo passo verso un nuovo linguaggio condiviso.

💡 Suggerimento finale

Prima di partire o in un momento tranquillo, potreste porvi a vicenda questa domanda:

“Cosa potrei fare durante questa vacanza per farti sentire più sereno/a con me?”

È un invito alla cura reciproca, che apre possibilità invece di irrigidirsi nelle differenze.

👉 Se desideri approfondire, puoi contattarmi per un primo colloquio.

Contattami

Vacanze in coppia: una pausa rigenerante o una prova di equilibrio?

Come riconoscere e affrontare le dinamiche relazionali che emergono durante i momenti di pausa –

Le vacanze sono spesso attese con entusiasmo: finalmente un tempo da dedicare a se stessi, ai propri affetti, alla coppia. Ma proprio quando si spengono i ritmi frenetici e si accende il desiderio di “stare bene insieme”, può emergere qualcosa di inaspettato: tensioni, silenzi, piccoli attriti.

Perché succede proprio quando dovremmo rilassarci?

Può capitare che il tempo insieme metta in luce ciò che nella quotidianità si nasconde.

Durante l’anno, gli impegni quotidiani fanno da “cuscinetto” tra i partner. I ritmi serrati, i figli, il lavoro, lasciano poco spazio al confronto profondo. Le vacanze, invece, spalancano finestre su aspetti della relazione che magari sono rimasti in secondo piano: il bisogno di autonomia, il desiderio di attenzione, differenze nei modi di vivere il riposo o il piacere.

Non è raro, ad esempio, che uno dei due desideri attività, esplorazioni, esperienze nuove, mentre l’altro sogni solo di non fare nulla. Oppure che, lontani dalle pressioni quotidiane, emerga un senso di distanza emotiva o un’irritazione sottile, difficile da nominare.

Non c’è nulla di sbagliato nel vivere piccoli attriti.

Spesso si pensa che se la coppia funziona, la vacanza debba essere perfetta. In realtà, è proprio il contrario: è naturale che, quando si trascorre più tempo insieme, si incontrino anche le differenze. Il punto non è evitare il conflitto, ma riuscire a osservarlo senza giudizio, come espressione di bisogni, fragilità o stili diversi.

Un’occasione per ascoltarsi meglio

La vacanza può allora diventare un’occasione preziosa per conoscersi di più, se ci si concede il tempo e lo spazio per farlo. Qualche domanda utile da porsi insieme:

• Cosa desideriamo davvero da questa vacanza?

• Cosa ci rilassa e cosa, invece, ci mette in tensione?

• Come possiamo prenderci cura del nostro tempo individuale e di quello condiviso?

Conclusione: imparare a stare insieme… anche in vacanza

Non esiste la vacanza “giusta”, esiste quella che parla dei bisogni autentici della coppia in quel momento. Riconoscere che anche i momenti di disaccordo sono naturali, e che possono essere affrontati con curiosità anziché con paura, è il primo passo per trasformare l’estate in un tempo di crescita e connessione.

Se vuoi approfondire l’argomento o richiedere una consulenza, puoi contattarmi qui