di Dott.ssa Maura Maria Schiavetta – Psicoterapeuta individuale e di coppia

Quando sembra troppo tardi
“Mi ha chiesto di venire in terapia, ma io dentro di me so che non ce la faccio più.”
“Mi sento sola da troppo tempo. Gli ho parlato per anni, ma non mi ha mai davvero ascoltata.”
Sono frasi che ascolto spesso quando una coppia arriva in terapia in un momento molto avanzato della crisi. Quando uno dei due ha già cominciato a separarsi dentro di sé.
In questi casi, ha ancora senso iniziare un percorso?
La risposta è sì. Ma è importante sapere di quale terapia stiamo parlando: la terapia come spazio relazionale, non come “cura della coppia”
Il terapeuta non ha il compito di “riparare” la coppia a tutti i costi, né di far cambiare idea a chi ha già deciso.
Il lavoro si fonda su un altro principio:
creare uno spazio in cui la verità della relazione possa emergere, essere nominata, compresa.
Anche una separazione può essere un esito maturo della terapia, quando nasce da un processo di consapevolezza reciproca, e non da uno scontro distruttivo.
Dare senso a ciò che è accaduto (e a ciò che non è riuscito)
Quando uno dei due partner è già orientato verso la separazione, la terapia può diventare:
– uno spazio in cui chi sta lasciando può dire, forse per la prima volta, tutto il peso del silenzio, del non essere visto, del sentirsi solo anche in due;
– uno spazio in cui chi viene lasciato può cominciare a comprendere, a uscire dal senso di rifiuto, a rileggere la storia in modo meno difensivo.
In questo modo, la terapia non salva il legame, ma gli restituisce una dignità.
Il valore del contenitore terapeutico
Nel modello relazionale, la presenza del terapeuta crea una terza posizione, protetta e regolata, che permette di:
– dare forma alla rabbia senza aggredire
– dare spazio al dolore senza fuggire
– nominare la separazione come un evento significativo, e non solo come una frattura.
Il terapeuta non impone una direzione, ma accompagna ciò che sta già accadendo, facilitando l’elaborazione e la trasformazione.
Rabbia e dolore: movimenti profondi della psiche
Quando una persona arriva dicendo “non ce la faccio più”, spesso sotto la rabbia c’è un dolore antico: quello di non essere stato riconosciuto, di aver lottato da solo, di aver perso fiducia nella possibilità di essere ascoltato.
Non bisogna contrastare la rabbia, ma ascoltarla come segnale psichico.
È proprio in quel momento che si può cominciare a fare un vero lavoro di elaborazione.
Separarsi nella relazione, non dal conflitto
Quando la separazione è inevitabile, il compito terapeutico diventa accompagnare la rottura, non subirla o affrettarla.
Questo significa:
– costruire un contesto in cui ci si possa dire addio guardandosi
– evitare che l’uscita dalla coppia sia una fuga, uno strappo violento o una rimozione
– lasciare a ciascuno il tempo psichico per dare un significato alla fine.
Anche la fine può essere un atto relazionale
In molti casi, la terapia non serve a “salvare” la coppia, serve a chiudere in modo più umano, evitando ferite inutili, riconoscendo ciò che è stato e ciò che non è stato possibile.
non tutte le coppie devono restare insieme, ma tutte meritano di essere ascoltate nella loro verità.
Conclusione: la terapia non arriva tardi, se dà voce a ciò che c’è.
Chiedere una terapia anche quando uno dei due è già pronto ad andare via non è un errore.
È un gesto di cura, di responsabilità.
È il tentativo di chiudere una storia senza lasciarla incompiuta dentro di sé.
Se stai vivendo un momento delicato nella tua relazione e senti che hai bisogno di uno spazio in cui esplorare ciò che accade, contattami qui
