einstein

Ma sei stupido?” – “Sei uno stupido!” (varianti con o senza punto di domanda)

Un giro al parco, un viaggio in metro, l’uscita delle scuole, sono solo alcune delle occasioni in cui si possono osservare interazioni negative tra genitori e figli. Purtroppo, spesso i genitori non si rendono neanche conto di aver avuto un’interazione negativa con il proprio figlio, giudicando “normale” il proprio comportamento.

Sto parlando di situazioni in cui un genitore si rivolge al proprio figlio in termini negativi, giudicanti, critici, e mi riferisco non a qualche episodio spiacevole o a qualche rimprovero immeritato, ma ad una violenza verbale grave e protratta nel tempo.

Stupido”, “brutto”, “codardo”, “incapace”, “imbecille” sono parole usate come armi, che possono lasciare segni nei bambini come uno schiaffo.

Nei casi più gravi, l’adulto può far sentire il bambino poco importante e sottoporlo a continue e sproporzionate critiche, esprimendo frequenti giudizi negativi sulla sua personalità, sul suo aspetto fisico e sulla sua intelligenza. Può deridere il bambino o appioppargli nomignoli dispregiativi, e spesso lo fa in pubblico. Può incolpare il bambino dei problemi familiari o di essere la causa della propria insoddisfazione personale, facendolo vivere in un clima familiare dove si sente costantemente controllato e giudicato.

Nei casi più lievi (ma attenzione perché potrebbe essere solo il primo passo verso una forma più grave), questa forma di trascuratezza può riguardare la poca pazienza dei genitori nei confronti dei figli, soprattutto di fronte ai compiti, tanto da arrivare in fretta a pensarli come poco capaci e con poche potenzialità.

Cosa succede dentro al bambino?

I bambini risentono del peso delle etichette e dei giudizi, che possono influire negativamente sulla loro autostima, fino a far maturare una concezione negativa di sé. Spesso diventano emotivamente avviliti, psicologicamente affranti, demotivati e manifestano una scarsa autostima.

Quando queste situazioni si protraggono nel tempo, i bambini iniziano a pensare di essere inferiori, diversi, stupidi, colpevoli, “fatti male”. La loro psiche lentamente cambia in negativo, perché rinforzano sentimenti di tristezza, paura e, non sentendosi capaci, si convincono di non riuscire negli studi.

Cosa può fare il genitore?

Vale la pena riflettere sul proprio comportamento in quanto genitori, sulla poca pazienza che si ha nei confronti dei figli che non riescono subito nel compito, ma allo stesso tempo sulla propria difficoltà a “svezzarli”, a renderli autonomi, a dare loro fiducia, a pensare che possano avere competenze e risorse adeguate per riuscire bene nel loro processo di crescita (anche se magari utilizzano tempi o modi diversi dai genitori).

Non distruggiamo la mente e la vitalità dei nostri figli, troviamo il coraggio e l’umiltà di mettere in discussione la relazione con loro.

Evitiamo di crescere bambini insicuri, ribelli, aggressivi, svogliati, tristi, spaventati e senza autostima.

Lo sapevi che..?

Il piccolo Albert parlò con ritardo, ebbe difficoltà a legare con i coetanei e imparò a leggere all’età di nove anni.
La famiglia di Albert aveva la preoccupazione che potesse essere ritardato, avendo iniziato a parlare dopo parecchio tempo. Sua sorella disse: “Lo sviluppo, durante l’infanzia, procedeva lentamente. Ebbe alcune difficoltà con il linguaggio, tanto che si temeva che non avrebbe mai imparato a parlare…Ogni frase che pronunciava la ripeteva a se stesso a bassa voce, muovendo le labbra. Questa abitudine persistette fino a sette anni”.

Albert risultò terribilmente carente in tutti i corsi di studi, soprattutto in matematica. Lui stesso dichiarò che non fu un bravo studente, sapeva di avere poca memoria, non riusciva soprattutto a scrivere correttamente dei testi. Non riuscendo a risolvere i problemi di matematica e di scienza, inventò una sua strategia, e si pensa che fu proprio il suo modo inusuale di risolvere problemi e l’essere un sognatore che l’aiutarono a diventare il più grande scienziato del mondo, e il genio che noi tutti ricordiamo.

Il piccolo si chiamava Albert Einstein

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